dal 5 al 24 febbraio 2024
Omaggio a
François Truffaut
Fare un film significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell’infanzia.
François Truffaut
François Truffaut se n’è andato quarant’anni fa, a cinquantadue anni, età in cui i cineasti oggi vengono considerati poco più che ragazzi, il meglio di là da venire. Quel che doveva venire per Truffaut purtroppo nessuno lo saprà mai, quel che c’è stato è un corpus di ventidue film subito percepito come un’ere- dità indivisibile, una poderosa comédie cinéphile in senso baziniano-balzachiano (d’altra parte lo aveva annunciato Antoine Doinel, che nei 400 colpi legge La Recherche de l’absolu e in onore di Balzac allestisce un piccolo altare domestico). Truffaut è stato il più amato dei cineasti (“solo lui, al cinema, ci ha fatto sentire così intensamente la gioia di avere un passato”); il più lieve e tragico, il più grave e sentimentale (le donne, i bambini, i libri, i morti); l’iconoclasta e poi il rifondatore di un’altra qualité française; e, prima, il responsabile d’un ‘salto di specie’ critico. Se certi temi, certe immagini, certi film ci parlano da una sorta di lontana modernità (dei gesti, degli abiti, delle parole e delle passioni, e anche naturalmente della cinefilia), intatta e urgente è l’interrogazione di Truffaut sul senso del cinema, sulla relazione (fondativa, ultimativa) tra il cinema e la vita. Questa rassegna, che guarda alla seconda stagione truffautiana, anni Settanta e primi Ottanta o il lungo addio alla nouvelle vague, è costruita intorno al nuovo restauro del suo penultimo film, limite estremo d’un lirico e crudele interrogarsi sull’amore: libero, perduto, coniugale, non corrisposto, in due o in tre o in tanti, in fuga, sul set, sul palcoscenico, né con te né senza di te. La signora della porta accanto, il suo viaggio au bout de l’amour. Quel che poi poteva esserci, non lo sapremo mai. Quel che c’è, è qui per sempre.
Paola Cristalli