Ombre e lieto fine.
La commedia americana
(prima parte)

Ma la commedia è poi davvero un genere? O piuttosto una disposizione dello sguardo, un’irragionevole promessa di felicità, una certa messinscena del conflitto, un patto con il lieto fine che dovrà sempre negoziare con le sue ombre? La commedia è tragedy plus time, diceva Lenny Bruce, e poi Woody Allen. Per la lunga rassegna che attraversa la storia della commedia americana, dagli inizi all’altro ieri, questo è il filo che abbiamo scelto. Seguire la complessità della commedia, la sua tensione a contraddirsi, il suo scivolare dentro perimetri narrativi diversi, soprattutto il suo ontologico intreccio con il dramma, e tuttavia la sua capacità di farci uscire dalla sala con il conforto di un sorriso, sempre, anche quando il sorriso non è lontano dalla possibilità d’una lacrima. L’ispirazione l’ha fornita A Woman of Paris, guardate bene quel finale (il vero finale, non il colpo di pistola) e non ci sarà prova migliore di quel motto, tragedy plus time. Un prologo svedese, tanto Lubitsch, stravaganze sofisticate, woman’s films, Audrey Hepburn, new american cinema, tutto da vedere, tutto da rivedere, e tanto per ripeterci, sullo schermo del Modernissimo sarà un’altra cosa. Buon Natale!, come disse una volta per tutte George Bailey, e si prosegue a gennaio. (Paola Cristalli)