Antologia critica

Vampiri stanchi, prodigi e cigolii di porte. Picnic a Hanging Rock si situa nel filone di rinnovamento del genere fantastico iniziato già da qualche anno e che, fino ad oggi, ci ha portato più delusioni che vere rivelazioni di talenti. Il film di Peter Weir è, in questo senso, perfettamente riuscito. Qui tutto si svolge alla luce del sole, i mostri svaniscono misteriosamente a mezzogiorno, nuova ed inaspettata ora fatale. Non sapremo mai cosa siano diventate Miranda, Marion e
Miss McGraw. Tanto meglio, nessuna ipotesi sarà mai avanzata. L’interesse è altrove, nella paura che attanaglia i reduci dal picnic, nella loro incapacità di capire, nella loro fretta di dimenticare.
I due soli personaggi che continuano a ricordare moriranno, vittime di un mistero la cui soluzione non compete all’intelligenza umana. E in questo senso Picnic, da ogni punto di vista, appartiene al genere fantastico, qui nessuna spiegazione, qualunque essa sia, non potrebbe essere che rassicurante.
Non c’è che una possibilità: dimenticare. Ed è quello che fanno molto rapidamente Irma e Michael, gli unici che si sono avvicinati al mistero e ne sono ritornati. Ci sono delle cose che è meglio sforzarsi di non capire.
Ma questa particolarità, che si discosta un po’ dal fantastico, non impedisce al film di porsi in un preciso contesto, quello dell’inizio del secolo. Epoca di frustrazioni, di repressione continua, che permette il fiorire di aspirazioni romantiche, la ricerca di qualcosa che appare del tutto diversa. Così il film propone due livelli di lettura, che sono tra loro in stretta dipendenza e che fanno di Picnic un’opera di una eccezionale coerenza. Il racconto, di una lentezza superba, si organizza in una serie di quadri pieni di sole, fotografati con maestria, inquietanti per la loro forza e la loro dolcezza. Film strano, straordinariamente avvincente, fatto di mussolina, di sole, di fiori secchi e di visi ancora infantili. Una rivelazione.
Pascal Mérigeau, “La saison cinématographique”, 1977

Quel che più stupisce, in un film basato sul vuoto, sull’assenza e la deliberata cancellazione (“nel giorno di San Valentino del 1900 – dice una didascalia iniziale – le ragazze di un collegio femminile si recarono in gita sulla formazione vulcanica nota come Hanging Rock: alcune non fecero mai ritorno”) è la ricchezza quantitativa di ‘segni’, di ‘chiavi’ che il film stesso dissemina, quasi a illuderci di volerci portare nel cuore del labirinto. […] La violenza latente, in questo film che è anzitutto uno studio sulla repressione, minaccia di esplodere quando il reale non offre più alcun ‘segno’, alcun appiglio, come la superficie scabra di Hanging Rock: sarà la scena in cui il sergente, avvertendo l’atmosfera di linciaggio incipiente, rimanda a casa i passanti, o quella in cui Irma, l’unica superstite, ritorna a scuola, e per il suo silenzio viene aggredita dalle altre nella palestra. Al contrario, culmine e cuore segreto della vicenda saranno le scene in cui il ragazzo inglese, Mark, si reca sulla montagna per cercare anche lui le ragazze, e lascia labili segnali del suo passaggio, come nella fiaba di Pollicino, per poi trasmettere segretamente, nel pugno serrato, un ‘segno’ privilegiato all’amico Albert: un frammento di pizzo dal vestito di Irma. Mark è Dominic Guard, il piccolo go-between loseyano divenuto adolescente: ma il suo ruolo è ancora quello di un ‘intermediario’, che comunica messaggi e frammenti di discorsi altrui: intorno a lui, nel collegio e nella casa che lo ospita, anch’essa più che mai loseyana, un’Inghilterra ottocentesca cerca di decifrare quei messaggi, di celebrare i propri riti di classe e di razza, di restare eroicamente fedele ai propri pregiudizi, in una terra ostile che ha anch’essa il suo linguaggio e i suoi messaggi meno decodificabili.
Guido Fink, “Bianco e Nero”, marzo-aprile 1977

All’ombra, come Proust ha illustrato così bene, delle fanciulle in fiore. In una serie di sognanti e pigre dissolvenze Peter Weir crea l’atmosfera e lo stile di Picnic a Hanging Rock […]. Come un dipinto di August Renoir sul “bon bourgeois” che si diverte, tutto evoca il momento magico in cui la natura, in qualche modo, riesce a sciogliere i lacci della convenzione. Ma il tema, sfortunatamente non riesce a svilupparsi da solo. Forse perché il romanzo di Joan Lindsey non offre una spiegazione della scomparsa delle tre ragazze… Weir sembra sentirsi obbligato a compensare questa carenza sottolineando, anzi forzando a dismisura, ogni allusione
[…]. Gradualmente tutti i prodigi, enfatizzati dal ralenti fanno accumulare un peso che il film non riesce a sopportare, e che lo fa scadere in un confuso melodramma, con la direttrice che si trasforma letteralmente in Mrs. Danvers, [la governante di Rebecca] e diventa pazza a causa del suicidio (o forse l’omicidio) di una allieva che ha trattato crudelmente e che ha – Dio mio! – un fratello, di cui ignora l’esistenza, che abita nelle vicinanze e lavora in una scuderia. Peccato, perché quando il film funziona lo fa egregiamente.
Tom Milne, “Sight and Sound”, autunno 1976

C’era una volta in Australia: tre studentesse e la loro insegnante scompaiono in pieno giorno durante un’escursione in un paesaggio preistorico. Il film di Peter Weir del 1975 incarna l’idea del quasi soprannaturale “outback uncanny”, l’incongruenza di una civile società coloniale in quello che sembra essere un pianeta alieno.
Picnic a Hanging Rock riecheggia L’avventura e Psyco, due film che creano un vuoto esistenziale quando un personaggio principale scompare prima di metà film. È più garbato ma più carico di allusioni erotiche rispetto agli altri due – “sia inquietante che sensuale” scrisse Vincent Canby nella sua recensione del 1979 sul “New York Times”, e come la Roccia stessa, ha lanciato un incantesimo duraturo. L’attrice Chloë Sevigny ha citato Hanging Rock come uno dei suoi film preferiti. Sofia Coppola, i cui film sono spesso ambientati in mondi ermetici popolati da giovani donne privilegiate, sembra esserne stata particolarmente colpita. Una fan meno riverente, Lena Dunham, ha scherzato dicendo che al college aveva provato a farne una parodia intitolata Lunchtime at Dangling Boulder.
Nel 2018, Picnic ad Hanging Rock è stato rifatto sotto forma di miniserie Tv in sei episodi. […] Anche se meno esplicito, il film di Weir si conclude con un caotico melodramma fatto di sogni, foto sfocate, santuari segreti, crisi pubbliche, visioni e suicidi. Una nuova convergenza mistica è suggerita e lasciata in sospeso.
Il film di Weir non manca di simboli e presagi; nessuno, però, fa riferimento agli indigeni australiani che consideravano la Roccia sacra e abitavano l’area da migliaia di anni. Così come il pifferaio di Hamelin che non fu pagato, i loro spiriti non sono placati. Weir affrontò questa mancanza con L’ultima onda (1977), un thriller occulto uscito negli Stati Uniti prima di Picnic a Hanging Rock. Eppure, sebbene invisibili nel film, gli indigeni dell’Australia gettano un’ombra sul picnic. La loro evidente assenza potrebbe essere la vera scomparsa al cuore della storia.
J. Hoberman, “The New York Times”, 29 gennaio 2025