Il mistero
I misteri di Picnic a Hanging Rock iniziano con le sue oscure origini nella realtà: il film è tratto da un popolare romanzo australiano del 1967, la cui autrice si è sempre rifiutata di confermare o smentire se gli eventi narrati fossero basati su una storia vera. Il regista Peter Weir ha mantenuto questo enigma irrisolto, lasciando che fosse l’immaginazione degli spettatori a riempire i vuoti su ciò che è accaduto alle donne scomparse. Ogni indizio affascinante nel film non fa altro che aumentare il mistero, piuttosto che risolverlo. Se hai bisogno di risposte certe prima dei titoli di coda, probabilmente questo film non fa per te.
L’ambientazione
Nelle prime scene, il pubblico viene introdotto nella scuola femminile, un ambiente rigido e raffinato dove le ragazze devono indossare corsetti, lunghe gonne e guanti, indipendentemente dal clima australiano. C’è una profonda attenzione alla bellezza in tutte le sue forme: dai costumi all’architettura ornata della scuola, fino ai dipinti e alla poesia. La bellezza della natura, mostrata nelle scene successive, offre un contrasto netto: l’area intorno alla formazione rocciosa di Hanging Rock è un luogo selvaggio, con antiche rocce, ruscelli scintillanti, stormi di uccelli e una vegetazione lussureggiante. Il film gioca magistralmente con questo contrasto: nonostante le differenze, entrambi gli ambienti sembrano tranquilli e sicuri. Eppure, in ognuno di essi, nulla è come appare.
L’atmosfera
La bellezza visiva del film crea un’atmosfera onirica: ogni scena è splendidamente composta e illuminata delicatamente dal sole. Il tempo sembra scorrere più lentamente. Il gruppo perde la cognizione del tempo, sia in senso letterale che figurato, durante il picnic a Hanging Rock. Senza dire una parola, tre ragazze s’inoltrano in una fessura della roccia come in trance, i loro movimenti sono rallentati ma inarrestabili. È realtà o sogno? Le ore si mescolano ai giorni dopo la loro scomparsa, ed è sempre più difficile capire da quanto tempo siano sparite. L’innocenza è perduta: le vite delle ragazze rimaste non saranno mai più le stesse e la natura non potrà più essere vista come un idilliaco rifugio.
Monica Castillo, “The New York Times”, 27 luglio 2017