Alle origini della new wave australiana e di una carriera hollywoodiana

Cinquanta anni fa, “cinema australiano” era quasi un ossimoro, almeno agli occhi lontani del pubblico internazionale. Certo, di tanto in tanto poteva capitare che qualche produzione anglo-australiana arrivasse sugli schermi americani ed europei – come L’inizio del cammino (1971) di Nicolas Roeg o il disastroso I fratelli Kelly (Tony Richardon, 1970) con un improbabile Mick Jagger – ma, in generale, le produzioni locali restavano ben al di sotto del radar dell’attenzione globale. Poi, nel 1975, arrivò Picnic a Hanging Rock, l’inquietante mistero di fine secolo vittoriano, diretto con stile dal trentenne Peter Weir, nato a Sydney. Il film si rivelò un vero e proprio banchetto per il pubblico dei cinema d’essai di tutto il mondo, oltre che il primo, affascinante assaggio della celebre new wave cinematografica australiana degli anni Settanta e Ottanta.
Il successo inaspettato del film di Weir – al tempo stesso onirico e inquietante –, insieme al suo L’ultima onda (1977) e ad altri audaci lavori come The Chant of Jimmie Blacksmith (1978) di Fred Schepisi e My Brilliant Career (1979) di Gillian Armstrong, fu determinante nell’aprire la strada a una nuova era per l’industria cinematografica australiana, un’epoca che continua ancora oggi, seppur raramente con la stessa ricchezza artistica.
Ma prima dell’arrivo di Mad Max (1979), Mr. Crocodile Dundee (1986), Babe, maialino coraggioso (1995) o persino il recente Elvis (2022) di Baz Luhrmann, c’era il peso imponente, quasi monolitico, di Picnic a Hanging Rock. A differenza di tanti altri film destinati a diventare classici ma poi caduti nell’oblio nel corso degli anni, l’enigmatico e suggestivo capolavoro gotico di Weir si erge ancora come un colosso sulle vestigia di quella delicatezza ormai scomparsa che un tempo chiamavamo cinema d’arte.
Thom Delapa, “Cineaste”, vol. 49, n. 4, autunno 2024

Uscito nel 1975, Picnic a Hanging Rock lanciò la carriera di Weir (dopo che aveva fatto parlare di sé con The Cars That Ate Paris l’anno precedente) e si rivelò una forza determinante in quella che sarebbe stata conosciuta come la new wave australiana. Presto intraprese una carriera a Hollywood, che include film come Witness – Il testimone
(1985), Mosquito Coast (1986), L’attimo fuggente (1989), Fearless – Senza paura (1993) e The Truman Show (1998), tutti film che, come Picnic, comportano viaggi reali o metaforici, viaggi verso l’esterno che diventano viaggi interiori. Storie che prosperano nel mistero e nell’ambiguità: “Mi piace davvero allontanarmi da un film che continua a farsi strada nella tua mente” ha detto Weir.
Megan Abbott, Picnic at Hanging Rock: What We See and What We Seem, Criterion.com, 20 giugno 2014

Negli anni Settanta si producono, grazie ai finanziamenti dell’Australian Film Commission, ben 150 film che spaziano in diversi generi, dalla commedia al giallo, dal film in costume all’horror, alla fantascienza. Si segnalano i debutti ‘ufficiali’ di Peter Weir (nell’episodio Michael del film Three to Go, 1970), Bruce Beresford in The Adventures of Barry McKenzie (1972), John Duigan con The Firm Man (1975), Fred Schepisi con The Devil’s Playground (1976), i due primi diplomati della neonata Australian Film and Television School: Philip Noyce in Backroads (1977) e Gillian Armstrong con My Brilliant Career (1979) con protagonisti Sam Neill e Judy Davis, e poi Tim Burstall con
The Last of the Knucklemen (1979) e George Miller con il blockbuster Mad Max (1979), con Mel Gibson. Godono dei finanziamenti anche il canadese Ted Kotcheff (Outback, 1971), gli inglesi Tony Richardson (Ned Kelly, 1970) e Nicholas Roeg (Walkabout, 1971), e l’italiano Luigi Zampa che porta Alberto Sordi agli antipodi con Bello, onesto, emigrato Australia, sposerebbe compaesana illibata (1971), il cui titolo inglese è il più stringato Girl in Australia. Un altro ‘locale’, il regista teatrale Jim Sharman, debutta al
cinema con il cult The Rocky Horror Picture Show (1975), e una giovane neozelandese di nome Jane Campion decide di iscriversi alla AFTS (che diventerà poi AFRTS con l’introduzione dei corsi di radio). Influenzati dal cinema a stelle e strisce, ma affascinati pure dai film d’arte europei, i giovani filmmakers cercano di recuperare il tempo perduto e agiscono sia localmente che globalmente. I loro film li fanno conoscere all’estero (decisivo fu l’International Film Festival di Seattle, dove avvenne nel 1975 il debutto americano di Picnic a Hanging Rock, anche se poi il film fu distribuito in America molto più tardi), e, visto il notevole successo raggiunto, si forma già il sospetto che qualcuno abbandoni la patria alla ricerca di altri lidi più fecondi.
È ormai leggenda la storiella che vede Stanley Kubrick al telefono con un executive della Warner Bros., che gli propone di adattare per lo schermo, oltre a Shining, un altro libro di Stephen King, Le notti di Salem. Kubrick consiglia alla major di affidare quel libro a un giovane australiano di nome Peter Weir, che ha fatto un film “misterioso” su delle ragazze che scompaiono. Ma come sempre quando si tratta di profitti, prima dei geni dell’arte, sono i geni del budget ad arrivare primi. E infatti Roger Corman, sempre lui, si era già accorto di Weir ed aveva già acquistato i diritti americani di The Cars that ate Paris (1974), il suo primo film, che era stato presentato al Festival di Cannes, prima ancora che il mondo intero si accorgesse del talento visivo e visionario di questo regista, salendo lungo i sentieri che portavano ad Hanging Rock.
Massimo Benvegnù, Filmare l’anima. Il cinema di Peter Weir, Edizioni Falsopiano, Alessandria 1997