Caligari fa vedere i “lavori in corso” della psiche. In quali avventure si cimenta questa psiche rivoluzionata? Gli elementi narrativi e pittorici del film gravitano intorno a due poli opposti. Uno dei due si può chiamare ‘autorità’ o più semplicemente ‘tirannia’. Il tema della tirannia, da cui gli autori erano ossessionati, pervade lo schermo dal principio alla fine. Sedie girevoli d’altezza enorme simboleggiano la superiorità dei funzionari municipali che vi siedono, come il gigantesco schienale della seggiola nella soffitta di Alan testimonia la presenza invisibile delle forze che lo dominano. Le scalinate accentuano l’effetto prodotto dai mobili: numerosi gradini portano al quartier generale della polizia e anche nel manicomio vengono impiegate addirittura tre rampe parallele di scale per indicare la posizione del dottor Caligari al vertice della gerarchia. […]
Caligari è una particolarissima premonizione, in quanto usa il potere ipnotico per piegare al suo volere il suo strumento, tecnica che anticipa, per contenuto e per scopo, quella manipolazione dello spirito [soul] che Hitler per primo esercitò su larga scala. Benché all’epoca di Caligari il motivo dell’ipnotizzatore irresistibile non fosse ignoto allo schermo -aveva già avuto una parte importante nel film americano Trilby [1916, di Maurice Tourneur], proiettato a Berlino durante la guerra – non c’era Informazione non presentea nel loro ambiente che spingesse i due autori a proporlo. Probabilmente essi furono ispirati da uno di quegli oscuri impulsi che, scaturiti da quel mondo sotterraneo in lenta evoluzione sul quale si regge la vita di un popolo, generano a volte autentiche visioni.
Ci si aspetterebbe che il polo opposto alla tirannia fosse la libertà, perché fu indubbiamente l’amore della libertà che spinse Janowitz e Mayer a svelare la natura della tirannia. Ora, questo polo opposto è il punto d’incontro degli elementi attinenti alla fiera: la fiera con le sue file di baracconi, le folle disordinate che li riempiono, la varietà dei suoi svaghi eccitanti. Qui Franzis e Alan si uniscono allegramente allo sciame dei curiosi, qui, sulla scena dei suoi trionfi, il dottor Caligari viene finalmente smascherato. Nella tradizione letteraria, definire il clima della fiera significa evocare continuamente Babele e Babilonia. […] Il continuo inserirsi di queste immagini bibliche caratterizza inequivocabilmente la fiera come una zona di anarchia nel campo del divertimento. Ciò spiega il suo eterno potere d’attrazione. Uomini d’ogni classe ed età amano perdersi nella selva di colori smaglianti e di suoni stridenti, popolata di mostri, generosa di sensazioni fisiche che vanno dallo scossone violento alle incredibili dolcezze del palato. Per gli adulti è un regredire ai giorni dell’infanzia, in cui il gioco vale quanto le cose serie, realtà e irrealtà si confondono e le aspirazioni anarchiche sperimentano a vuoto possibilità infinite. Grazie a questa regressione, l’adulto fugge una civiltà che tende a ingigantire e a distruggere il caos degli istinti, per restaurare il caos su cui tuttavia riposa la civiltà. La fiera non è la libertà ma l’anarchia che implica il caos.
È importante notare che quasi tutte le scene di fiera di Caligari iniziano con una apertura a iride dove appare un suonatore d’organetto che gira continuamente il braccio e, dietro di lui, la cima di una giostra che non smette mai il suo movimento circolare. II circolo diviene qui un simbolo del caos. Mentre la libertà somiglia a un fiume, il caos somiglia a un turbine. Dimentichi dell’Io ci si può tuffare nel caos, ma poi non si può più andare avanti. Che i due autori abbiano scelto una fiera con le sue libertà in contrasto con l’oppressione di Caligari tradisce la falla che incrina le loro aspirazioni rivoluzionarie. Per quanto aspirassero alla libertà, non erano evidentemente capaci di delinearne i contorni. La loro concezione ha qualcosa di zingaresco; sembra frutto di un ingenuo idealismo più che di un’autentica ricerca. Ma si potrebbe anche dire che la fiera rispecchi fedelmente la situazione caotica della Germania del dopoguerra.
Con o senza intenzione, Caligari mostra l’anima che oscilla fra tirannia e caos, di fronte a una situazione disperata: qualsiasi fuga dalla tirannia sembra sprofondarla nel disordine totale. Ne emana, è inevitabile, un’atmosfera d’orrore che invade ogni cosa. Come quello dei nazisti, il mondo di Caligari rigurgita di sinistri presagi, di atti di terrore e di esplosioni di panico. L’equazione orrore-disperazione raggiunge il culmine nell’episodio finale, che finge di ristabilire la vita normale. A parte l’ambigua figura del direttore e dei suoi aiutanti, la normalità si concretizza nella folla dei pazzi che si aggirano nel loro bizzarro ambiente. La normalità è un manicomio: non era possibile dipingere lo scacco in modo più netto. E in questo film, come in Homunculus, assistiamo allo scatenarsi di un forte sadismo e di una sete di distruzione. II nuovo apparire di questi tratti sullo schermo dimostra ancora una volta quale importanza avessero nell’animo collettivo dei tedeschi.

(Siegfried Kracauer)