Das Cabinet des Dr. Caligari, la cui comparsa coincise con la fine del primo quarto di secolo del cinematografo, rappresentò per molti aspetti una pietra miliare della storia del cinema. Il film più sensazionale del 1920 delineava nuove ambizioni estetiche, nuovi rapporti tra film e arti grafiche, tra attori e scenografia, tra immagine e narrazione. I legami che instaurò tra un cinema ancora giovane e i movimenti artistici più sperimentali dell’epoca sorpresero e attirarono un pubblico di intellettuali che fino ad allora aveva degnato di ben poche attenzioni un settore dello spettacolo considerato ancora sospetto. Il film conferì inoltre alla cultura cinematografica tedesca un prestigio internazionale senza precedenti, e contribuì a riaprire mercati che si erano chiusi con la Guerra mondiale e con il successivo ostracismo economico. Caligari fu un caso unico, straordinario. La storia della sua genesi esercita di conseguenza un fascino particolare. Nel corso degli anni, tuttavia, quella storia è stata offuscata dall’accumularsi di leggende e testimonianze contraddittorie. Mentre il film veniva promosso a un rango mitico nella storia del cinema e più in generale nella cultura del ventesimo secolo, chi vi aveva avuto a che fare tentò spesso di sottolineare e drammatizzare il proprio contributo. Per quegli artisti costretti all’esilio dall’avvento del nazismo e obbligati a ricominciare da zero all’estero, fu spesso particolarmente importante poter vantare il proprio ruolo nella creazione del Caligari, biglietto da visita che apriva tutte le porte.
(David Robinson)
Das Cabinet des Dr. Caligari è sotto vari aspetti un film-enigma. Innanzitutto attorno al film è cresciuta una leggenda, fondata su testimonianze diverse e contrastanti degli autori, ognuno dei quali ha cercato di rafforzare il proprio ruolo nel processo di realizzazione. Ma l’affermazione di Hans Janowitz – diffusa da Kracauer – secondo cui l’espediente del narratore interno al testo non esisteva nella sceneggiatura originale si è rivelata falsa. Il film non solo sfrutta pienamente le potenzialità dell’immaginario presenti nella sceneggiatura, ma le rende ancora più problematiche e inquietanti attraverso cambiamenti significativi e il ricorso a una stilizzazione visiva di grande effetto. Il sonnambulo Cesare, che originariamente avrebbe dovuto essere un forzuto da fiera, diventa nel disegno di Walter Reimann una maschera filiforme, una figura in calzamaglia nera che pare un fantasma. E le scenografie dell’orizzonte immaginario evocato da Francis sono elaborate da Warm, Reimann e Röhrig secondo i modelli di stilizzazione della pittura espressionista, con particolare attenzione agli esterni berlinesi di Ernst L. Kirchner. Contrariamente alle affermazioni della critica più corriva, il film rivela una struttura complessa, che coordina elementi compositivi variegati in un quadro di grande coerenza formale, garantita dalla regia consapevole di Robert Wiene.
(Paolo Bertetto)
L’analisi del Caligari [fatta da Kracauer in Da Caligari a Hitler] muove, tutti sanno, dal, supposto, valore antistituzionale attribuito al progetto dagli autori della sceneggiatura, Carl Mayer e Hans Janowitz, e che il film avrebbe tradito e normalizzato con l’introduzione della ‘cornice’ narrativa. Un manoscritto cui Janowitz aveva affidato le proprie memorie, steso negli anni del suo esilio americano, e che Kracauer poté consultare, costituisce la fonte principale per tale interpretazione. Il ritrovamento della sceneggiatura del Caligari (oltre vent’anni fa) e di altri documenti relativi all’attività dei due sceneggiatori (più recentemente – compreso il contratto stipulato con la casa di produzione) e un’analisi diretta dello stesso manoscritto di Janowitz hanno messo radicalmente in discussione quella presupposizione.
Il lavoro di revisione è stato condotto da più parti e può ritenersi a sua volta acquisito. Ricapitoliamone comunque i passaggi essenziali. Intanto il copione originale di Mayer e Janowitz aveva una cornice. La narrazione prende avvio sulla “grande, signorile terrazza di una villa” in cui Francis e sua moglie (Jane) stanno ricevendo alcuni amici e dove l’uomo, improvvisamenteturbato dalla vista di alcuni carri di zingari, viene sollecitato dalla donna a ricordare una vicenda accadutagli “oltre 20 anni” prima. Quando con l’amico Allan viveva nella cittadina di Holstenwall, dove nel corso di una fiera fece la sua apparizione un misterioso personaggio che presentava “Il Sonnambulo”… la storia insomma che ci è nota dal film – fino allo smascheramento del Dr. Calligari, che si nasconde sotto le rispettabili spoglie del direttore di una clinica, e viene chiuso infine in una cella dello stesso istituto. Il quadro 22 dell’ultimo atto ci presenta poi Francis e Jane nella piazza in cui erano stati eretti i padiglioni della fiera, in cui “nel luogo in cui si trovava il baraccone di Calligari si innalza un palo di legno con una grande tabella. L’iscrizione recita: ‘Qui si trovava il Gabinetto del Dr. 17 Calligaris. Pace alle sue vittime – Pace a lui! La Città di Holstenwall'”, e propone la coppia “immersa nei propri pensieri” di fronte alla scritta.
“Bild blendet ab und geht allmählich über in 23. Bild”, annuncia quindi il testo, rinviando a un ulteriore passaggio della vicenda… che tuttavia qui si arresta, nella copia della sceneggiatura pervenutaci quantomeno, mancando il fascicolo dell’ultima o delle ultime pagine. Come è stato da più parti osservato5 il quadro 22 gioca comunque un ruolo chiave, in quanto lascia dedurre, ricollegato alla situazione di partenza, come il copione non potesse verosimilmente prevedere un ribaltamento finale delle parti (con Francis e Jane pazienti di un inappuntabile specialista dalle fattezze del Dr. Calligari), e conducesse probabilmente di nuovo alla terrazza di partenza. Le caratteristiche del copione fanno dunque cadere l’ipotesi di Kracauer sul valore di per sé normalizzante della cornice e sulla corrispondenza tra soluzione narrativa della cornice e tendenze della società tedesca.
Se è vero che negli anni del dopoguerra la maggior parte dei tedeschi anelava a ritirarsi da un duro mondo esterno verso la sfera intangibile dell’anima, la versione di Wiene era certo più consona al loro atteggiamento di quanto non lo fosse il soggetto originale; infatti, mettendo l’originale ‘in scatola’, questa versione rispecchiava fedelmente il generale rinchiudersi in un guscio.
Inoltre del tutto opinabile appare l’ipotesi che l’originaria impostazione del racconto imprimesse alla storia una più forte accentuazione in senso eversivo e antistituzionale. Le vicende sono ricondotte, nella sceneggiatura, nel seno di un’esperienza privata e, in questo caso sì, all’interno della protetta interiorità borghese (la villa e l’ambiente elegante in cui sono immersi i protagonisti).
(Leonardo Quaresima)