Il leggendario Selznick, che contava tra i suoi maggiori successi cinematografici Pranzo alle otto, David Copperfield, Le due città, È nata una stella, Via col vento, Intermezzo, Rebecca, la prima moglie, […] si era sottoposto per un lungo periodo a una terapia psicanalitica che gli era stata d’immenso aiuto. In conseguenza di quest’esperienza positiva, divenne egli stesso un convinto patrocinatore dell’analisi e decise di dividere la sua scoperta con gli appassionati di cinema, sperando di far giungere alle orecchie di tutto il mondo le straordinarie qualità terapeutiche di questa branca relativamente nuova della medicina. Da questo desiderio nacque Io ti salverò.
John Griggs, Gregory Peck, Gremese, Roma 1984
Sapendo che Selznick desiderava fare un film sulle possibilità curative della psicoterapia, Hitchcock stava cercando l’opera giusta da acquistare. Intendeva assolutamente evitare argomenti controversi e, per una volta, voleva battere Selznick sul suo stesso campo, comprando l’opzione su un romanzo da adattare e rivendendone i diritti al produttore, con una mossa astuta. Prima di partire per Londra, Hitchcock aveva letto proprio la cosa giusta: The House of Dr. Edwardes, una bizzarra storia di stregonerie, riti satanici, psicopatologia, omicidi e scambi di identità, ambientata in un manicomio svizzero. Pubblicato originariamente a Londra nel 1927 e in America l’anno dopo, i diritti del libro – scritto da John Leslie Palmer e Hilary Aidan St. George, sotto lo pseudonimo comune di Francis Beeding – tornarono agli autori nel 1939. Hitchcock convinse Selznick che si sarebbe potuto stravolgere quello strano romanzo e farlo diventare un giallo in cui la psicanalisi risolve un mistero. Selznick, che all’epoca era a sua volta in cura da una psicoterapista, era follemente entusiasta: “Vorrei sottolineare” scrisse a Margaret McDonell, responsabile del suo reparto sceneggiature, “che sono quasi disperatamente ansioso di fare questo film di argomento psichiatrico o psicologico con Hitch”.
Donald Spoto, Il lato oscuro del genio. La vita di Alfred Hitchcock, Lindau, Torino 1999
Era, come dirà Hitchcock a Truffaut, “un romanzo melodrammatico e realmente folle che raccontava la storia di un pazzo che s’impadroniva di una clinica di pazzi! Nel romanzo, perfino gli infermieri erano dei pazzi e facevano ogni sorta di cose! La mia intenzione era più ragionevole, io volevo soltanto girare il primo film di psicoanalisi”. Il regista decide di conseguenza di mantenere in piedi soltanto la cornice ambientale – la clinica psichiatrica, però, viene trasferita dalla Svizzera agli Stati Uniti –, qualche situazione e qualche personaggio e poi, come usa fare, cambiarne completamente la struttura narrativa (autore dell’adattamento è il britannico Angus MacPhail, sceneggiatore Ben Hecht) innervandovi come asse drammaturgico un caso criminale risolto grazie alla psicoanalisi.
Ernesto G. Laura, Hitchcock e il surrealismo, L’Epos, Palermo 2005
Selznick subito cominciò ad agitarsi per gli attori da scritturare. Voleva sul set Joseph Cotten (protagonista del momento, di Quarto potere di Welles e dell’Ombra del dubbio dello stesso Hitchcock), Dorothy McGuire e Paul Lukas, tutti attori di primo piano, nei ruoli principali.
Non li ebbe. La ricerca riprese e febbrilmente i candidati e il produttore arrivò non senza fatica a scritturare Gregory Peck, Ingrid Bergman e Leo G. Carroll. Il cast che accompagnò il film a un successo senza fine.
Italo Moscati, Hitchcock. Il laboratorio dei brividi, Rai-Eri/Ediesse, Roma 2009
Prima di poter iniziare le riprese di Io ti salverò, Hitchcock era tornato in Inghilterra a dirigere un paio di brevi film per la propaganda di guerra in Francia. Mentre lavorava a Londra vide Angus MacPhail, uno sceneggiatore che aveva incontrato per la prima volta nel 1926, mentre stava dirigendo The Lodger negli studi della Gaumont-British. MacPhail nel frattempo aveva fatto carriera diventando il responsabile della sezione sceneggiatura alla Gaumont. Hitchcock chiese al vecchio amico se voleva collaborare alla realizzazione di un copione basato sul romanzo di Beeding. MacPhail accettò, ma il suo adattamento si rivelò molto sconnesso e troppo lento. Tornato a Hollywood, Selznick e Hitchcock affidarono al veterano Ben Hecht il compito di trasformare con mano esperta il romanzo in un adeguato copione cinematografico.
John Griggs, Gregory Peck, Gremese, Roma 1984
Hitchcock e Hecht si misero subito al lavoro. Visitarono l’Hartford Retreat nel Connecticut e si incontrarono con il direttore; quindi fecero tappa in altri ospedali psichiatrici del Connecticut e della contea di Westchester, nello stato di New York, prima di curiosare nelle corsie del Bellevue Hospital di New York City. Quindi Hecht si mise alla scrivania e, lavorando su uno schema dettagliato che Hitchcock aveva messo insieme in due notti, cominciò a produrre ogni giorno almeno venti pagine di sceneggiatura. […]
La collaborazione Hitchcock-Hecht fu molto fruttuosa. I due condividevano l’interesse per i meandri più oscuri della mente umana. (Allora anche Hecht era in analisi e lui e Selznick spesso confrontavano le loro esperienze.) Mentre Hecht teneva Hitchcock impegnato a sviluppare un intreccio plausibile, Hitchcock faceva balenare a Hecht l’idea delle terrificanti evenienze della vita di tutti i giorni, che spesso presenta piccoli traumi che influenzano lo spirito e possono influenzare l’arte drammatica. “Hitchcock riteneva che Hecht fosse un cinico che non si rendeva nemmeno conto del suo cinismo”, come ha affermato uno dei biografi di Hecht. Hecht trovava Hitchcock piuttosto geniale – “Il distinto Alfred Hitchcock” scrisse nella sua autobiografia “creava colpi di scena che sembravano fuochi artificiali”. Ma si era anche accorto che l’anima di Hitchcock si rifletteva nel loro lavoro più di quanto si aspettasse; all’epoca, scrisse lapidariamente Hecht, Hitchcock stava “brillando in mezzo ai suoi incubi”.
Donald Spoto, Il lato oscuro del genio. La vita di Alfred Hitchcock, Lindau, Torino 1999