Non è assolutamente da trascurare il fatto che, per la prima volta, in Io ti salverò Hitchcock mette in scena direttamente e apertamente la dinamica psicoanalitica. Anche se altri film precedenti, anche inglesi, presentavano echi legati ad alcuni modi dell’indagine sull’inconscio (l’ossessione, il trasfert), mai questi elementi erano stati, per così dire, sistematizzati in un percorso coerentemente psicoanalitico.
Certo la psicoanalisi di Hitchcock è una sorta di divulgazione sommaria e schematica del pensiero di Freud, ma non per questo meno significativa. Il caso rappresentato in Io ti salverò è di quelli che si possono definire da manuale: quello di un giovane e affascinante medico che giunge in una clinica psichiatrica per prendere il posto del vecchio direttore. Ben presto però manifesta evidenti turbe della personalità che attirano l’attenzione di una collega, la dottoressa Petersen. Egli afferma di aver ucciso il dottor Edwardes, designato a quel posto, per sostituirsi a lui. La dottoressa, segretamente innamorata, con l’aiuto di un vecchio maestro, scopre la verità: l’uomo è segnato da un complesso di colpa per la morte del fratello avvenuta nell’infanzia in circostanze drammatiche e si attribuisce anche la morte di Edwardes causata da un misterioso incidente sulla neve. Con una terapia d’urto, la dottoressa Petersen sblocca il senso di colpa e le relative ansie, mentre, in un crescendo poliziesco, emerge il vero responsabile della morte di Edwardes […]. Il rapporto di Hitchcock con la psicoanalisi, che qualcuno ha voluto descrivere (anche sulla base di testimonianze autobiografiche) come distaccato e ironico, appare in Io ti salverò molto intenso. Non tanto per l’ambientazione della vicenda e la soluzione un po’ miracolistica dei problemi, quanto proprio a livello figurativo. Non si può dimenticare che la realizzazione del sogno che, interpretato dal vecchio professore, rivela alla dottoressa la verità sull’inestricabile caso clinico, è opera di Salvador Dalí, cioè di un autore che aveva partecipato alla nascita di quel cinema surrealista che – come è noto – conosceva e prendeva assai sul serio il pensiero psicoanalitico. Nel film il percorso psicoanalitico, lineare, schematico, eccessivamente semplificato a livello di azioni e personaggi, trova invece soluzioni alquanto originali sul piano figurativo, nella scelta degli elementi che assumono una valenza simbolica nell’inconscio di John Ballantyne: il tetto spiovente, le enormi forbici, la sala da gioco che appaiono nel sogno.
Ma anche le linee tracciate sulla superficie bianca che ossessionano il medico e che rimandano, in quest’opera hollywoodiana, direttamente al manifesto del cinema surrealista, Un chien andalou di Buñuel e Dalí. Il film ottiene così un esito imprevedibile: benché, come sempre accade in Hitchcock, sia schematico e semplificatorio, il percorso psicoanalitico diventa il centro del film, il vero motivo di suspense, mentre la vicenda poliziesca scolorisce e passa in secondo piano senza compromettere la spettacolarità dell’opera.
Giorgio Simonelli, Invito al cinema di Alfred Hitchcock, Mursia, Milano 1996
Spellbound è quindi un film fortemente investito dalla psicoanalisi, e per molte ragioni:
– è un thriller il cui MacGuffin – cioè quell’espediente, quel pretesto privo di un vero valore, tipico dei film hitchcockiani – sono la psicoanalisi e il senso di colpa (edipico) derivato dalla gelosia nei confronti di un fratellino minore e scatenato dalla sua morte accidentale;
– racconta una storia d’amore che concerne un rapporto tra psicoanalista e paziente;
– usa la terapia analitica come metodo di indagine per scoprire le ragioni di un sintomo (lo scambio d’identità e l’amnesia) e insieme le tracce nascoste e sfigurate di un crimine, indagando nel passato del protagonista e scoprendone la ‘colpa’ (e seguendo così lo stesso itinerario di Edipo nella tragedia di Sofocle e l’itinerario di uno psicoanalista con il proprio paziente);
– mette in scena, nel corso del film, allo scopo di svelare il mistero alla base del thriller, lo stesso processo di significazione e di interpretazione di quando si cerca di procedere dal sogno manifesto ai pensieri onirici latenti, grazie ai cosiddetti ‘resti diurni’ e alle libere associazioni. […]
In Spellbound quindi possiamo trovare tre percorsi tematici, insieme distinti e intrecciati: quello dell’amore tra Constance e Ballantyne, quello della malattia/amnesia di Ballantyne e quello del mistero/scomparsa/assassinio del dott. Edwardes, di cui Ballantyne, a causa di uno scambio d’identita, prende il posto. Tutti e tre questi temi sono ‘governati’ e tenuti insieme dalla psicoanalisi.
Lucilla Albano, Lo schermo dei sogni. Chiavi psicanalitiche al cinema, Marsilio, Venezia 2004
Io ti salverò si avvale di molte convenzioni che erano già, o sarebbero state presto, consolidate nei film sugli psichiatri. Oltre allo psichiatra innamorato e allo psichiatra detective, il film ci presenta anche lo psichiatra criminale nei panni del cattivo del film, il dottor Murchison (Leo G. Carroll). Assistiamo inoltre anche a una convenzionale guarigione catartica quando Gregory Peck contemporaneamente ritrova la memoria e guarisce da un trauma infantile grazie a un’unica discesa con gli sci. Nella musica del film Miklós Rózsa introduce il suono lugubre del theremin, uno strumento che accompagnò poi diverse esplorazioni cinematografiche degli aspetti più oscuri della mente umana (ma il theremin era già stato usato con intenti ironici in È tempo di vivere del 1948).
Benché Io ti salverò sia molto distante dal flusso libero delle immagini oniriche freudiane che aveva caratterizzato Un chien andalou, il capolavoro surrealista del 1928, entrambi i film si avvalgono del contributo di Salvador Dalí. Il breve montaggio di immagini che appare sullo schermo quando Gregory Peck racconta il suo sogno chiave era basato su disegni di Dalí e rappresenta un ulteriore affinamento nella resa dei sogni sullo schermo. Nessun film americano ha mai eguagliato la messa in scena rivoluzionaria del classico dell’espressionismo tedesco Il gabinetto del dottor Caligari (1919), ma la sequenza del sogno alla Dalí di Io ti salverò costituisce una rappresentazione molto più autentica e suggestiva del lavoro onirico in paragone alle parate teatrali di Le schiave della città o al semplice passaggio al materiale negativo di Vicolo cieco.
Glen O. Gabbard, Krin Gabbard, Cinema e psichiatria, Raffaello Cortona Editore, Milano 1999
Descrivere le ossessioni del malato non è stato per Hitchcock soltanto un pretesto per comporre qualche immagine terrificante. A lui interessa il principio stesso della psicanalisi. Vi vede l’equivalente medico di quella ‘confessione’ che costituirà il tema di Under Capricorn e di I Confess.
D’altra parte, qui è la Donna che assume il ruolo di confessore, di salvatrice. Come si vede, siamo ben lungi dalla leggendaria misoginia rimproverata al nostro autore. A contatto della donna, il malato ritroverà l’integrità della propria mente, e più esattamente, l’unità della propria persona. A contatto dell’uomo che ama, la gelida Constance, dottoressa con gli occhiali, diventerà tutta femminilità. Spellbound è un grande film d’amore.
Narrando l’esegesi di un simbolo, era naturale che il film fondasse la sua costruzione sul simbolo. Le linee parallele e il colore bianco ci ossessionano, così come ossessionano il paziente. La discesa sugli sci, che richiama quel momento del sogno in cui lo smemorato si trova sul tetto, contiene un’allegoria più sottile. È l’illustrazione di un tema caro a Hitchcock e che potremmo formulare così: “Bisogna scendere una seconda volta, bisogna rifare il cammino”. In To Catch a Thief, ritroveremo la stessa immagine di un uomo sul tetto, accompagnata dallo stesso motivo musicale.
Eric Rohmer, Claude Chabrol, Hitchcock, Marsilio, Venezia 1986
Che si tratti di Ingrid Bergman in Io ti salverò del 1945 o di Madeleine Stowe in L’esercito delle dodici scimmie del 1995, una terapeuta che si innamora farà di tutto per salvare la persona che ama. Entrambi i film affermano che, per una donna, la professione psichiatrica, specialmente quando la psichiatria è separata dalla medicina scientifica e dalle sue insegne tecniche, può essere un’estensione degli istinti materni piuttosto che una poco decorosa intrusione in una professione prettamente maschile. Tale concezione è radicata più nelle rigide convenzioni patriarcali di questi film che nei loro contesti storici. […]
Le scene tra Ingrid Bergman (Constance Petersen) e Michael Cechov (il dottor Brulov) contengono le prime discussioni dettagliate sul controtransfert di tutto il cinema americano. Come in Mondi privati negli anni Trenta, anche i produttori di Io ti salverò assunsero uno psichiatra per una consulenza tecnica e nei titoli compare May E. Romm, M.D., come “consulente psichiatra”.
Nondimeno le esigenze del film di Hitchcock richiedono che al tradizionale istinto protettivo femminile venga affiancato l’insegnamento professionale di un uomo di esperienza. Constance Peterson può avere successo solamente scambiando la sua preparazione psicanalitica con le reazioni emotive di una donna innamorata e lo afferma lei stessa. […] D’altro canto, l’istinto di Constance si rivela corretto: guarisce i problemi psicologici del personaggio di Gregory Peck e risolve il crimine di cui era stato accusato l’uomo che ama. Il film sostiene che le donne sono inefficaci come psicanaliste se non si realizzano come donne, ma sottolinea anche che gli sforzi di una donna emotivamente coinvolta sono di gran lunga superiori a quelli di psichiatri e detective maschi. La dottoressa Petersen si riscatta anche rispetto alle sue discussioni con il vecchio e saggio dottor Brulov.
Glen O. Gabbard, Krin Gabbard, Cinema e psichiatria, Raffaello Cortona Editore, Milano 1999